Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

lunedì 15 giugno 2015

Galanti scortesie sul servizio del vino

Autoritratto parabolico intorno al Lago d'Orta
"I buongustai hanno tanto ardore e tanta bontà, che hanno sopportato a lungo le scortesie di…" Brillat-Savarin
Lago d'Orta, Piemonte - << Prologo Il patron del ristorante con due stelle Michelin mi chiede se gradisco del vino da accompagnare al menu degustazione di sette portate che ho appena scelto e lo fa proprio mentre sto sgranocchiando un grissino. Inghiotto le ruvide briciole e chiedo di vedere la carta dei vini. Non sono impreparata allo spettacolo del corposo libro rilegato in pelle che viene posato sul tavolo, ma fa comunque una certa impressione vedere bottiglie di media qualità proposte altrove a diciotto massimo venticinque euro, costare qui sessanta euro. Quanto ai vini più interessanti, sono tutti inavvicinabili. Tra i vini bianchi, ve ne sono tre disponibili nella bottiglia da mezzo litro e quando faccio scorrere il dito fra il friulano Tocai (quaranta euro) e il marchigiano Verdicchio (quarantacinque euro), il patron raccomanda il secondo. La piccola bottiglia passa anonima, senza transitare dal tavolo, dalla cantina direttamente al secchiello del ghiaccio posto alle mie spalle dove, ammollata nell'acqua, il maître-sommelier le si affanna intorno e la apre non senza sforzo (dell'operazione sento solo gli ansiti visto che si svolge alle mie spalle). Bisbiglia qualcosa al patron il quale, con aria serissima e funerea, mi annuncia che il vino è ossidato. Può capitare, soprattutto nelle mezze bottiglie e tanto più in una come questa che è del 2004, si giustifica con un tono che allontana da sè qualunque responsabilità (fino a cinque minuti prima la decantava come la più valida fra le mezze bottiglie disponibili) e anzi fa quasi sembrare che la "disgrazia" sia da attribuire a me che ho scelleratamente scelto una mezza bottiglia. Visto che né lui né il maitre accennano a presentarne un'altra, chiedo se quella fosse l'ultima. "No no, purtroppo no" - "???" - "Ne portiamo un'altra". Neanche la seconda Cenerentola è degna di un passaggio in tavola, e malgrado provenga non dalla cantina ma dal frigorifero, il maître-sommelier la tuffa nel secchiello e tra un ansito e l'altro (sospetto sia asmatico) la stappa, ne versa un poco sul fondo di un piccolo bicchiere e lo passa al patron il quale assaggia e orgoglioso come di un figlio che dopo due bocciature prende finalmente la sufficienza, esclama gongolante: "Questo è perfetto!". Dice lui, perché a me non è chiesto alcun parere. Mi viene riempito (parola grossa) il calice e, senza domandare se approvo il vino o se almeno mi piace, maître e patron si dileguano prima che io abbia il tempo di avvicinare il naso al bicchiere. Un bicchiere colmo di odori e sapori magari non guasti come quelli della bottiglia precedente, ma sulla buona strada. Un vino che comunque avrebbe avuto bisogno di essere stappato e ossigenato per ben più di cinque minuti prima di essere servito in tavola e che infatti solo verso metà pasto inizia a sprigionare gradevoli sensazioni (senza mai arrivare a nulla di sensazionale comunque). Bevo senza avanzare un goccio della bottiglia e, se non sono solleciti nel mescere, alzo il sopracciglio guardando contrariata il bicchiere vuoto finché sommelier e patron fra i più paternalisti e maschilisti di sempre capiscono: i quarantacinque euro sono una rapina che bisogna guadagnarsi ...continua

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