Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

mercoledì 16 maggio 2012

Sensi piacevolmente occupati

Fotografia © Brillante-Severina
"Il torrente dei secoli, scorrendo sul genere umano, ha prodotto sempre nuovi perfezionamenti, la causa dei quali... appare nelle esigenze dei nostri sensi che sempre, ora l'uno, ora l'altro, chiedono di essere piacevolmente occupati.” Brillat-Savarin  
- Fossano e Saluzzo, Piemonte – << Prologo. Dormo poco, forse per l'agitazione da avrò-fatto-bene-a-cambiare-programma-all-ultimo-momento? e arrivo a Fossano poco dopo le undici. Fermento, persone con le borse della spesa: è giorno di mercato. Lo sfioro, abbordando la via che attraversa la cittadina per poi virare sotto i bassi portici ombrosi. Tante pasticcerie e dai nomi sabaudi. Entro in quella che mi sembra la meno moderna e trovo una saletta con stucchi e vetrate d'altri tempi. Dopo la colazione, per souvenir compro dei biscotti da tè a forma di bastoncino. Una signora mi dice che a mezzogiorno la Cattedrale chiude e mi affretto a entrarci. Arrivata alla fine della via maestra è già ora di pranzo. Troppo tardi scoprirò che sarebbero bastati ancora pochi minuti di cammino per arrivare allo spigoloso castello trecentesco. Piacevole pranzo nelle segrete del fascinoso palazzo nobiliare restaurato, con avventori quasi tutti civili (leggere "I selvaggi"). Mi propongono una colazione-di-lavoro ma chiedo la degustazione da sei portate (e altrettanti vini). Il cuoco mi porta personalmente il dolce. Conosce un mio progetto romano. La visita all'albergo oggi no, mi dispiacerebbe scoprire che è più bello di quello saluzzese dove mi sono auto-dirottata. Riparto, in mezz'ora raggiungo Saluzzo e conquisto (nel vero senso della parola) il resort ricavato nel convento medievale accanto alla chiesa di San Giovanni. La mia camera è la cella IV, ha una doppia porta in legno che chissà quanti monaci nei secoli hanno aperto e chiuso, colori e arredi eleganti ma giustamente poco mondani, un forcone di due metri poggiato al muro che dopo vari lambiccamenti scopro essere una lampada, e una bella vista su un altro ex convento di monache e sul lontano loggiato affrescato con le Fatiche di Ercole che, ancora non lo so, ma è Casa Cavassa, l'antico palazzo che avrei visitato il mattino dopo. Tiro fuori dalla valigia il vestito verde per la sera e sono già fuori, ad arrampicarmi sulle salite sassose e poi rotolare per le discese con soste davanti ai portoni, al castello, alla lapide dedicata a Silvio Pellico. Finale nella via dello struscio con riposo-aperitivo all'aperto, di fronte al Duomo. Alle otto mi costringo ad abbandonare la postazione e risalgo. Era stato più facile scendere ...continua

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